Intervista immaginaria a Elif Shafak

A causa dell’emergenza per il covid-19 l’edizione di quest’anno del Premio Bottari Lattes si è svolta a distanza per alcuni autori. Non avendo potuto porre delle domande personalmente abbiamo immaginato un incontro con l’autrice anche attingendo da notizie autobiografiche che abbiamo reperito.

 

Cosa l’ha spinta a intraprendere la carriera di scrittrice?

Ero una bambina introversa, a cui piaceva raccontare storie, ma le uniche persone che le ascoltavano erano i miei amici “immaginari”. Mia madre decise quindi di regalarmi un taccuino in cui avrei potuto scrivere le mie esperienze quotidiane, ma che invece preferivo utilizzare per raccontare di persone mai esistite e fatti non accaduti. Così ha avuto inizio la mia passione per la scrittura.

 

È difficile scrivere romanzi di denuncia come questo, in un Paese come la Turchia?

Sicuramente essere una scrittrice in un Paese patriarcale come la Turchia è complicato, perché qualunque cosa tu scriva disturberà le autorità. Per i temi che noi autori trattiamo, possiamo essere facilmente considerati dei traditori, possiamo essere indagati, perseguitati ed esiliati. Purtroppo questo porta molti scrittori ad autocensurarsi. Le preoccupazioni sono alleviate grazie al supporto, alle ispirazioni e all’amore che riceviamo ogni giorno dai nostri lettori.

 

Nonostante lei viva in un Paese patriarcale nei suoi romanzi sono presenti per la maggior parte figure femminili. A cosa è dovuta questa scelta?

Sono stata interamente cresciuta da mia madre e mia nonna a causa della separazione dei miei genitori e questo mi ha reso una femminista, un difensore della parità di genere e dei diritti della comunità LGBTQ+. Tutti questi elementi hanno profondamente influenzato la mia scrittura, i miei romanzi e di conseguenza i loro protagonisti.

 

Il turco è la sua lingua madre ma sappiamo che parla molto bene anche l’inglese. Quale delle due lingue predilige per scrivere?

Amo scrivere in turco perché è una lingua poetica ed emozionale, ma amo anche l’inglese perché è “matematica” e cerebrale. Mi sento legata ad entrambi i linguaggi in modi diversi, ma con la stessa intensità.

 

Matilde Facchin e Martina Fenos (3 BEsa)